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Teresa Mannino – “Sono nata il ventitré”

12 giovedì 2015 visualizzazioni:

Teresa_ManninoFrizzante, simpatica, con uno splendido smalto rosso dichiaratamente sdoganato come palese richiamo sessuale, Teresa Mannino porta sul palco del Teatro Nuovo un monologo di un’ora e quaranta che tiene elegantemente con la solita, irresistibile semplicità comica. L’inizio è scoppiettante ed è intelligentemente creato ad arte per far sentire il pubblico a casa propria, tra amici; “io stasera non sono qua per fare uno spettacolo, ma sono venuta per conoscere voi” dice Teresa, che non manca di “martellare” con ironia gli ultimi arrivati e i “disgraziati” della prima fila, ai quali chiede di tutto. Dopo le presentazioni lo spettacolo scorre veloce in un susseguirsi di battute, dove le risate sono all’ordine del minuto e alla fine il copione fafondamentalmente da sfondo alla verve umoristica che emerge come elemento comico autonomo (Teresa sarebbe capace di far ridere anche leggendo l’elenco del telefono).

In “Sono nata il ventitré” Teresa chiama in causa addirittura l’Odissea per raccontare di uomini e donne, un cavallo di battaglia che non delude mai (“quando gli uomini hanno l’amante si fanno scoprire subito, si portano il telefonino anche in bagno, e se mentre una volta dovevi lavorare per scoprire un tradimento, guardare nelle tasche, stare attenta ai colletti delle camice, ora ti basta stare seduta comodamente in poltrona e scoprire il Pin del cellulare, che tanto è la data di nascita… al contrario, perché loro sono dei creativi!”), per poi leggere passi di improbabili libri “oggi Teresa Mannino_Sono nata il ventitré©Ida Brenzoni (5)c’è una guida per tutto” per arrivare alla sua infanzia ed atterrare, lei che ha paura di volare, sulle differenze tra chi è stato bambino negli anni ’70 e chi è bambino oggi e subisce le inevitabili fobie delle madri moderne(“se oggi a un bambino cade un pezzo di pane per terra e si azzarda a raccoglierlo e portarlo alla bocca la mamma urla disperata “non lo toccare!!!”; noi, negli anni settanta…”soffia”! Perché la parola chiave negli anni ’70 era “anticorpi”). Il tutto passa attraverso un ricordo po’ nostalgico e molto ironico della intramontabile sicilianità “quando facevo la segretaria, il mio capo mi chiedeva di correggere l’accento perché, mi diceva, quando chiedi un favore tu con l’accento palermitano che hai, non sembra una richiesta, sembra una minaccia: “le fatture… devono essere pagate entro fine mese!!” E intanto però le pagavano”.

Il risultato è davvero esilarante, e la fine purtroppoarriva in un attimo; ma anche nelle ultime battute Teresa riesce ad ironizzare sui milanesi che non appena finito lo spettacolo si alzano e se ne vanno, perché in fondo, diciamocelo, non sono troppo bravi a godersi la vita; chi come il sottoscritto l’ha sempre seguita del resto sa che tra milanesi e siciliani ci sono grandi differenze, basti pensare che le tratte aeree Palermo-Milano” sono le uniche in cui sono i passeggeri che danno da mangiare alle Hostess”.

 

 

 

 

 

di Mirko Spelta

12/3/2015