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La lavorazione del tabacco: una storia di emancipazione femminile

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La culla della lavorazione del tabacco in Italia si trova al confine tra Umbria e Toscana. È in questa zona che, alla fine del Cinquecento, i semi della preziosa pianta, originaria delle Americhe, furono introdotti in Italia grazie al vescovo di Sansepolcro, Niccolò Tornabuoni. Fu lui a farne dono a Cosimo de’ Medici, e così l’erba tornabuona cominciò la sua diffusione in Valtiberina. Le prime coltivazioni importanti per scopi commerciali nella penisola italiana risalgono agli inizi del Seicento e risiedono proprio nella Repubblica di Cospaia (1441-1826), un piccolo territorio allora indipendente, nel territorio Comune di San Giustino.

Con i secoli, la manifattura del tabacco assunse un’importanza fondamentale per  l’emancipazione femminile. Le tabacchine hanno la possibilità di uscire dall’ambito familiare, e acquisiscono una posizione più elevata e indipendente. Negli anni Cinquanta del Novecento, lo stipendio di una tabacchina poteva superare quello di un metalmeccanico. Le donne del tabacco si slegano così dalla tradizione economica contadina, e il loro stipendio – in quegli anni – incide sul ménage familiare: si possono acquistare prodotti considerati lussuosi, come frigoriferi, televisori, vestiti nuovi, biciclette per andare al lavoro. I figli possono ricevere un’istruzione, accedere finalmente a carriere che prima erano precluse: molti frequentano l’università e diventano medici, avvocati, professori, commercialisti, ingegneri, potendo così entrare nel ceto medio borghese. Le donne ottennero i primi asili per i loro figli, l’assistenza medica sul lavoro, e migliori condizioni.

A partire dagli anni Sessanta, la lavorazione del tabacco è quasi esclusivo appannaggio delle donne e le cose non sembrano destinate a cambiare: la Compagnia Toscana Sigari, fondata nel 2015 proprio a Sansepolcro, ad esempio, ne impiega a decine.

Le sigaraie, cioè coloro che materialmente fanno i sigari, sono sempre e solo donne. 

di redazione digital

25/03/2024