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Genitorialità e lavoro: tutto quello che le aziende possono (ancora) fare

09 giovedì 2024 visualizzazioni:

La (bassa) natalità, la maternità e più in generale la genitorialità sono argomenti strettamente collegati tra loro. La genitorialità, in particolare, è ancora oggi un tabù nelle discussioni professionali. Prendersi del tempo per la gestione della famiglia, ma anche per la ricerca di un figlio in caso di infertilità (tra visite mediche, esami, transfer) diventa troppo spesso motivo di sensi di colpa sul lavoro. È per questo che oggi le imprese sono chiamate a implementare politiche inclusive che sostengano la genitorialità in tutte le sue forme, per dare almeno sul lavoro il supporto necessario ad equilibrare la vita professionale e quella familiare. Ecco sei soluzioni pratiche che le aziende possono adottare per favorire politiche inclusive verso i genitori e le persone che vogliono diventarlo. di Alisia Galli, Psicologa Clinica e Leader Pillar Mentale di Fitprime .

“Essere genitori è il mestiere più difficile di tutti”. Chissà dove e quando è nato questo detto, che se da un lato rischia di spaventare chi genitore ancora non lo è, dall’altro ha senz’altro una base di verità. In effetti, a giudicare dai dati e dalle esperienze condivise, essere genitori è complesso. E in Italia un po’ di più. Oltre alle gioie e alle sfide personali, padri e madri devono sempre di più navigare attraverso una serie di ostacoli sistemici che rendono la genitorialità ancora più in salita: alti costi della vita, carenza di servizi, bonus insufficienti, mancata comunicazione dell’esistenza dei servizi stessi, requisiti stringenti, mercato del lavoro precario fanno sì che il tema della genitorialità in correlazione con il lavoro, in Italia, sia particolarmente delicato. Tanto delicato che nel nostro Paese, nel 2023, secondo il recente report Istat “Indicatori Demografici Anno 2023” si è registrato l’ennesimo minimo storico di nascite (379mila bambini venuti al mondo), l’undicesimo di fila dal 2013. Secondo i dati dell’Istituto nazionale di statistica, la diminuzione delle nascite rispetto al 2022 è di 14mila unità (-3,6%). Altri dati sono necessari per comprendere quanto sia ampio il tema della conciliazione della genitorialità e del lavoro: l’Ispettorato Nazionale del Lavoro nel 2021 ha registrato 44 mila dimissioni di mamme entro i primi tre anni di vita del figlio. Il 63% delle neo mamme infatti include tra le motivazioni di questa decisione la difficoltà di conciliare l’impiego con il lavoro di cura, a fronte del 7,1% dei padri. Bisognerebbe supportare la genitorialità già da molto prima (e molto dopo) della nascita di un figlio Nel mondo del lavoro quando si parla di maternità si considerano solo il periodo della gestazione e quello immediatamente successivo al parto. Ma chiunque abbia un figlio sa che l’impegno richiesto prosegue per molti anni, e il carico di dover conciliare tutto ricade solo sui genitori (come abbiamo visto, spesso sulle madri).  Ancora meno considerato è tutto ciò che avviene prima della gestazione: dalla scelta di avere un figlio, ai tentativi che a volte non riescono. Nel mondo, ben una coppia su sei fatica a diventare genitore (dati OMS) e in Italia nel 2020 più di 65mila persone si sono sottoposte a trattamenti di fecondazione assistita (Rapport ISS 2020). Sono numeri importanti che non considerano coloro che si sono recati all’estero per avere supporto in questo ambito, le persone single che vorrebbero figli, e le coppie omogenitoriali, che si trovano di fronte a una strada ancora più in salita. Secondo l’OMS l’infertilità è una patologia (e anche una malattia invisibile dal momento che se ne parla troppo poco) con delle ripercussioni non solo fisiche – specialmente per le donne – ma anche emotive e psicologiche. L’impossibilità di generare un figlio porta a un inatteso e forte stress nelle donne, negli uomini e nella coppia come unità, provocando profondo disagio sia psicologico che sociale sperimentato attraverso reazioni emotive e vissuti di colpa, vergogna, fallimento, rabbia, frustrazione, impotenza, diniego, sintomi ansioso-depressivi fino alla strutturazione di veri e propri quadri psicopatologici. Tutto questo, inevitabilmente, può portare a delle difficoltà anche nella vita lavorativa. Al tema dell’infertilità è spesso associato quello dell’adozione: è ormai noto che sia un percorso complesso e che non ci sia in Italia una rete che faciliti questo procedimento. E se la burocrazia non aiuta spesso, non lo fa neanche l’ambiente di lavoro. “La creazione di un contesto fertile, di accoglienza, all’interno dell’ambiente lavorativo è fondamentale per chi sta affrontando difficoltà nel percorso verso la genitorialità e può faticare a sentirsi compreso, accettato e supportato. Maternità e infertilità pur così distanti si possono assomigliare per molti versi: sono capitoli di vita che ti sconvolgono e che sconvolgono chi ti sta vicino, ecco perché in entrambi i momenti è fondamentale avere un supporto, a casa, in famiglia come sul lavoro” dichiara

Francesca Zuffimarketing manager e ideatrice di Uovo in viaggio, un progetto narrativo nato per sensibilizzare al tema dell’infertilità, che insiste su quanto la ricerca di un figlio abbia un impatto sul lavoro: visite mediche, esami, prelievi, transfer, punture da fare magari in orari lavorativi richiedono comprensione da parte dei colleghi e dell’azienda. 

Il supporto delle aziende alla gestione delle responsabilità familiari è fondamentale per 9 genitori su 10 L’azienda HR Zeta Services – che ha dato vita a marzo 2024 allo sportello per genitori Help Desk Genitorialità – ha condotto lo studio “Maternità, burocrazia e tempi”, nel quale ha rilevato che 9 donne su 10 avrebbero voluto ricevere più informazioni sulla genitorialità sia da parte delle istituzioni sia da parte delle aziende, le quali risulta che offrano “aiuto” solo nel 47% dei casi. Le aziende oggi hanno un ruolo non solo nel fornire un supporto economico e concreto, ma anche nel creare un clima in cui tutti si sentano accolti, tutelati e compresi. Secondo il Censis per il 63% degli italiani il lavoro oggi non è più la preoccupazione principale. Spetta alle aziende, dunque, essere realmente interessate a comprendere le necessità delle loro persone, guardandole e ascoltandole nel loro complesso. Sempre secondo i dati Censis, 9 genitori su 10 quando prendono in considerazione un nuovo lavoro valutano soprattutto il supporto dei datori di lavoro alla gestione delle responsabilità familiari.  

Cosa possono fare le aziende? Guardando a quello che fa notizia si legge di imprese che concedono congedo illimitato, baby-sitter in sede o che possono viaggiare insieme ai genitori durante le trasferte. Sono esempi eccellenti, ma che non tutte le aziende possono, ovviamente, offrire. Tuttavia, ci sono moltissime opportunità meno costose da mettere in pratica. 

Iniziare dalle cose semplici: fare un’analisi della propria azienda e individuare il target.

Qual è l’età media dei dipendenti? Quanti genitori ci sono? E che ruoli hanno? Come già detto, la questione della genitorialità nelle aziende non riguarda solo le neo-mamme. Ci sono anche i papà da supportare, i genitori single, uomini e donne che stanno affrontando un percorso di adozione o magari di fecondazione assistita. E soprattutto ci sono un prima e un dopo (circa 18 anni!)..

Promuovere la collaborazione Per creare un ambiente comprensivo e di aiuto, in ogni aspetto della maternità, ci sono due strade. Offrire servizi di coaching, oppure – e non è da sottovalutare – incentivare l’aiuto reciproco: perché non creare una chat interna dedicata ai genitori in cui ci si possa scambiare opinioni o chiedere aiuto? O, in maniera più semplice, perché non mettere a disposizione una bacheca dove chiunque possa lasciare le proprie domande per i “più esperti”?

Flessibilità È inevitabile che la preparazione, l’attesa e l’arrivo di un bambino abbiano un impatto sulla vita delle persone e quindi anche sul lavoro. Promuovere una transizione soft è fondamentale. Questo può essere fatto in tanti modi, per esempio incentivando a utilizzare – magari anche spezzandolo – il congedo parentale; accettando cambiamenti di orario; facilitando lo smart working.

Alcuni esempi virtuosi? Zurich Italia, dal 2020, ha esteso il congedo di 16 settimane retribuite a tutti i genitori, senza distinzione di genere e orientamento sessuale.

LaCooperativa Aliante, per permettere ai lavoratori di non sospendere l’attività lavorativa in caso di malattia dei figli, ha istituito il baby-sitting domiciliare, gratuito entro un monte ore annuale prestabilito, e a pagamento, con tariffe agevolate, al termine del pacchetto. Mentre Luxottica ha introdotto la baby week, cioè una settimana di permesso retribuito per l’inserimento al nido e all’asilo dei figli dei dipendenti.

Coaching Sempre più aziende hanno deciso di implementare attività che mirano sostenere la genitorialità sia nel momento del rientro al lavoro, sia potenziando le competenze specifiche che si sviluppano o rafforzano con il diventare genitori (come il multitasking, l’empatia, la capacità di ascolto e di negoziazione…). Mellin, per esempio, informa i futuri genitori su diritti e doveri legati alla maternità e offre la possibilità di affidarsi a esperti per approfondire gli aspetti psicologici.

Comunicare nel modo corretto e individuare le priorità E questo dovrebbe essere un insegnamento universale. Per venire incontro a chi si sta preparando a diventare genitore seguendo un percorso di fecondazione assistita, a chi deve ancora allattare un bambino, a chi ha dei figli da seguire… un aiuto, facile da mettere in pratica, ma efficace, è segnare nelle comunicazioni il livello di priorità. Per esempio nelle e-mail, all’oggetto si possono aggiungere indicazioni utili per prioritizzare le scadenze, “entro fine mese”, “per lunedì”, “urgente” e così via.

Incoraggiare le vacanze e i permessi Ogni azienda o manager dovrebbe assicurarsi che tutti i propri dipendenti facciano le ferie, per prevenire il rischio burnout, per permettere di trovare momenti di relax e svago, ma anche che prendano in modo corretto i permessi, che ci sono e devono essere usufruiti senza sentirsi in colpa. Per andare a fare le visite mediche (magari prima dai ginecologi e poi dai pediatri), oppure per seguire delle pratiche burocratiche (i tanti incontri che si è obbligati a fare se si vogliono adottare dei bambini), per vedere le recite o andare a parlare con gli insegnanti. Per stare a casa se i figli si ammalano e non si sa con chi lasciarli.

di redazione digital

9/05/2024